27/01/08

Sahar Khalifah


Nata a Nablus, in Cisgiordania, nel 1941, Sahar Khalifa (o Khalifah) è una delle voci più autorevoli e stimate della letteratura palestinese. Conosciuta internazionalmente, nonché tradotta in numerose lingue, Sahar Khalifa ha unito nelle sue opere l’impegno civile per la "causa palestinese" alla denuncia della condizione della donna nella società araba contemporanea. Quest’ultimo aspetto della sua attività si è concretato, verso la fine degli anni Ottanta, nell’istituzione di un "Centro di studi sulle donne" da lei stessa diretto, con doppia sede a Nablus e a Gaza.

Da Sahar Khalifah scorci sulla storia palestinese

In «Primavera di fuoco», appena uscito per Giunti, la scrittrice palestinese descrive due fratelli che si ritrovano su fronti opposti sullo sfondo della seconda intifada

di Monica Ruocco

La centralità delle donne palestinesi nella formazione dell'identità nazionale, e il loro prezioso ruolo di custodi della memoria storica di un popolo sono gli elementi alla base del romanzo Primavera di fuoco della scrittrice Sahar Khalifah, che esce in questi giorni per Giunti nella coinvolgente traduzione di Leila Mattar (pp. 333, euro 14,50) Alla fine del libro la scrittrice dichiara la propria riconoscenza alle donne di un quartiere della vecchia Nablus - città che fa da sfondo alle vicende narrate - che «hanno spalancato le loro memorie come finestre» regalandole racconti «colmi di particolari e di sentimenti profondi». Ma da parte sua Sahar Khalifah, le donne palestinesi le conosce molto bene.
È stata infatti proprio lei a fondare nel 1989, dopo avere conseguito negli Stati Uniti un dottorato in Women's Studies, il primo centro di ricerche sulla condizione femminile nei Territori Occupati. Alla sede di Nablus (la città dove la scrittrice è nata nel 1941) se ne sono poi aggiunte altre due, a Gaza (nel '91) e ad Amman (nel '94). La sua carriera letteraria era invece iniziata subito dopo il 1967, con la pubblicazione di un romanzo, Non saremo più le vostre schiave (Lan na'ud giawari lakum, 1972), considerato il primo testo palestinese ad affrontare apertamente temi legati alla questione femminile. Un impegno sociale e politico che, di pari passo con quello letterario, ha portato Khalifah - insignita nel 2006 del premio Mahfuz per la narrativa al Cairo - a diventare l'autore palestinese più tradotto dopo Mahmud Darwish.
Ideale seguito di Terra di fichi d'India (Jouvence 1996) e La porta della piazza (Jouvence 1994), Primavera di fuoco è ambientato nel 2002 nel pieno della seconda intifada quando i Territori Occupati erano sconvolti dagli attacchi israeliani a Nablus, dall'assedio alla Muqata, residenza di Arafat e sede dell'Autorità palestinese a Ramallah, e dalla costruzione del Muro. Sahar Khalifah racconta le vicende di una famiglia che vive nel campo profughi di 'Ein al-Murgian e, anche qui, seguendo una abituale strategia narrativa della scrittrice, i protagonisti del romanzo si ritrovano su fronti opposti. Se in Terra di Fichi d'India i due cugini rappresentavano il conflitto tra i palestinesi della diaspora e quelli costretti a convivere con gli occupanti, e nella Porta della piazza Sahar Khalifah riproduceva il dualismo tra uomini e donne durante la prima intifada, Primavera di fuoco ruota intorno al rapporto di due fratelli che rappresentano la nuova realtà sociale della Palestina: entrambi vorrebbero trovare riscatto dall'occupazione nell'arte, Magid nella musica e Ahmad nella pittura e nella fotografia, ma si ritrovano coinvolti, forse loro malgrado, nella resistenza. Magid, che sognava di diventare una star al pari dei cantanti egiziani, viene ferito in uno scontro a fuoco e troverà rifugio nella residenza di Arafat durante l'assedio mentre Ahmad, in seguito a varie disavventure, conoscerà il carcere e dovrà affrontare l'occupante.
Sahar Khalifah non ritrae però in in modo schematico né i protagonisti (intensi in particolare gli incontri tra Ahmad e Mira, una giovane israeliana figlia di coloni), né gli altri personaggi, resi sempre con realismo e partecipazione. L'attenzione della scrittrice alle sfumature e ai dettagli riesce a dare vita a uno scenario complesso. Complesso come il territorio palestinese che, dal punto di vista geografico, pare «una camicia fatta a brandelli: il colletto qui e la manica laggiù», oppure come il suo popolo che comprende «un contadino di Tubas, un beduino di Khan Yunis, un intellettuale di Ramallah, uno che dice una parola in arabo e una in inglese, e poi ragazze che giocano in pantaloncini corti e spose avvolte in tuniche e veli». Dal lato israeliano il miscuglio appare altrettanto ricco: «un colono canadese, altri che arrivano da Parigi, Roma, Londra, e poi dalla Bulgaria e dalla Romania, neri che vengono dall'Abissinia e dall'Etiopia». Su tutti irrompe la storia: da una parte gli israeliani che occupano, o meglio rioccupano i Territori palestinesi e, dall'altra parte, l'establishment corrotto dell'Autorità e i vari gruppi più o meno armati che si contendono il potere e costringono i palestinesi a combattere una doppia occupazione, esterna e interna. Le vite di Magid e Ahmad si incrociano con quelle delle donne, inermi di fronte a quelle ruspe che, come bestie mitologiche, sprofondano nelle viscere della terra sradicando gli ulivi e divorando ogni cosa. Alle ruspe si oppongono anche i pacifisti israeliani e stranieri, ed è chiaro l'omaggio a Rachel Corrie, la pacifista americana uccisa da un bulldozer israeliano.
Fin dai suoi primi romanzi, Sahar Khalifah persegue fermamente lo scopo di registrare con scrupolo e sincerità i diversi periodi della storia palestinese. In Primavera di fuoco questa cronaca assume una connotazione estremamente realistica grazie al carattere colloquiale della parola scritta e alla misteriosa voce narrante che, forse, appartiene a uno dei personaggi della scrittrice o alle donne della vecchia Nablus. E la saga continua: al-Mirath, «L'eredità», il romanzo che Sahar Khalifah ha scritto dopo gli accordi di Oslo, è in preparazione presso la casa editrice Ilisso di Nuoro.

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